giovedì 16 maggio 2013

FREUD

Es
In psicoanalisi, una delle tre parti della psiche umana (insieme con Io e Super Io). L'Es può essere considerato equivalente all'accezione comune di inconscio, la riserva di forze pulsionali, necessità biologiche, desideri e motivazioni affettive; è regolato dal principio del piacere, che porta l'individuo alla gratificazione immediata dei bisogni. Secondo Sigmund Freud, l'Es è alimentato da un'energia propria, detta libido, di natura essenzialmente sessuale.

Ego

Termine della psicoanalisi per definire l'Io, uno dei tre aspetti della psiche umana secondo Sigmund Freud (insieme a Es e a Super Ego), deputato ai rapporti con la realtà e influenzato da fattori sociali. La sua formazione ha inizio al momento della nascita, dal primo contatto con il mondo esterno (persone e cose). Nella sua funzione di controllo degli impulsi inaccettabili, l'Io agisce da mediatore tra i desideri inconsci e le richieste sociali.


Super Ego

Il super ego (o Super io), l'ultima istanza di sviluppo in ordine di tempo, segue le leggi della moralità e dell'etica. Si compone del concetto di bene e male (come caratteristica astratta rispetto alle conseguenze materiali dirette, di vantaggio o svantaggio immediati, di un'azione), e dell'ideale dell'io, un modello idealizzato e un'aspirazione sul come si dovrebbe essere.

NIETZSCHE: "Dio è morto"

Nietzsche stesso dice in più passi delle sue opere che l'affermazione "Dio è morto" è qualcosa da accettare senza necessità di altro, poichè la prova è tangibile nel mondo stesso.

Dio per Nietzsche non è un'entità superiore (come poteva essere l'idea Platonica, contro il quale si scaglia per via dell'indole di questo a disporre l'uomo al di sotto di qualcosa).

Dio è l'insieme di valori che hanno costretto l'uomo a rimanere ancorato in una realtà di inganno e di ordine, lasciando al di fuori il caos del dionisiaco, che è ciò che, nello scontro con l'apollineo, dona autenticità alla vita. Questi valori sono annoverati nella cosiddetta morale degli schiavi, quella che ha posto i sacerdoti in condizione di vincolare gli uomini (ed è in questo caso che accusa il popolo ebreo, non come razza, ma come esempio di cultura sacerdotale e che ha dato impulso al Cristianesimo) in una dimensione apollinea in cui la vita e tutti i veri valori di essa, dati dalla costante tragedia dell'esistenza vengono soppressi.

"Dio è morto" vuol dire che quei valori sono ormai decaduti, e che ormai vi è bisogno di accettarne la realtà. Questo è spiegato dalle immagini che Zarathustra vede nel suo viaggio, o ancora in quella dell'uomo folle: tutto ciò che ha a che fare con edifici religiosi è infatti presentato come in una condizione di decadenza.

BERGSON: Lo slancio vitale

Alla base di tutto vi è uno slancio vitale che spinge in avanti la materia verso realizzazioni sempre più complesse, materia che si espande in diverse direzioni e con intensità diverse. Ciò spiega l’esistenza del mondo vegetale separato da quello animale. Il meccanicismo e il finalismo smettono di avere significato. L’evoluzione concepita da Bergson parte dal presupposto che nulla è dato ma tutto è realtà in movimento. Non ci sono da una parte cose create e dall’altra un loro creatore, ma tutto proviene da una stessa realtà. L’evoluzione è insieme soggetto e oggetto di se stessa perché segue un  processo che ha un’unica origine e che si realizza in un continuo slancio verso la vita, perciò è evoluzione creatrice.La materia adesso viene allora concepita in maniera diversa: essa non è l’ostacolo pesante con il quale la coscienza deve fare i conti. La materia diventa il punto di arrivo dello sviluppo di una determinata branca di questo slancio vitale che esaurendo le sue possibilità di evoluzione, incapace di proseguire ricade su se stessa.
MARX : Critica al liberalismo

Là dove lo Stato politico ha raggiunto il suo vero sviluppo, l’uomo conduce non soltanto nel pensiero, nella coscienza, bensì nella realtà, nella vita, una doppia vita, una celeste e una terrena, la vita nella comunità politica nella quale egli si considera come ente comunitario, e la vita nella società civile nella quale agisce come uomo privato, che considera gli altri uomini come mezzo, degrada se stesso a mezzo e diviene trastullo di forze estranee. [...] L’emancipazione politica è certamente un grande passo in avanti, non è, bensì, la forma ultima dell’emancipazione umana in generale, ma è l’ultima forma dell’emancipazione umana entro l’ordine mondiale attuale. S’intende: noi parliamo qui di reale, di pratica emancipazione.
(K. Marx, Sulla questione ebraica, in Opere di Marx-Engels, Roma, Editori Riuniti, vol. III, 1976, pp. 165-68)

FEUERBACH: La critica alla religione

L'errore della teologia sta nel porre l'essere dell'uomo fuori della realtà empirica dell'uomo stesso, sta nel porre la realtà umana come realtà divina, libera da ogni limite della sua condizione naturale e storica. La filosofia deve allora capovolgere questa impostazione di discorso; deve compiere l'operazione inversa a quella messa in atto dalla teologia e dallo hegelismo. Deve, insomma, riportare l'Infinito nel finito, l'Assoluto nel contingente, cioè il Divino nell'umano, il Pensiero nella realtà naturale dell'uomo; di modo che si riconoscano l'infinità, l'assolutezza, la divinità come caratteri propri dell'essere dell'uomo.
La filosofia, dunque, ha da percorrere ancora altro cammino, diversamente da quanto crede la «destra» hegeliana, che ritiene che il sistema di Hegel rappresenti il punto d'approdo teoretico dello sviluppo dello spirito, e che giudica quel sistema come lo sforzo ultimo e definitivo di una conoscenza razionale della realtà.

Nell'Essenza del cristianesimo Feuerbach nota come la coscienza che l'uomo ha di Dio è la coscienza stessa ch'egli ha della sua realtà umana; realtà che però è stata trasposta su un piano meta-fisico, meta-storico. Per quali ragioni però avviene questo processo di trasposizione? Feuerbach lo analizza con acume.
Nel rapporto con le cose esterne, io ho coscienza dell'oggetto; nel rapporto con me stesso io ho autocoscienza. Orbene, nel fenomeno religioso l'oggetto religioso non è «esterno» ma «interno» all'uomo. Quindi l'atteggiamento religioso è fondamentalmente un rapporto dell'uomo con se stesso. In senso proprio, dunque, la coscienza di Dio non è altro che l'autocoscienza dell'uomo, cioè non è altro che la coscienza che l'uomo ha della sua autentica realtà.

mercoledì 15 maggio 2013

KIERKEGAARD

L’ESISTENZA COME POSSIBILITA’ E FEDE

La categoria fondamentale che caratterizza il pensiero di K. è quella della esistenza. Kierkegaard è considerato il primo esponente dell’ esistenzialismo, una corrente filosofica che ebbe grande sviluppo nella prima metà del XX secolo. L’esistenzialismo concepisce la filosofia come analisi dell’esistenza, intesa quale dimensione esclusiva dell’esperienza umana e, quindi, l’unica che può essere oggetto di riflessione filosofica. L’esistenza è lo specifico modo di essere dell’uomo nel mondo. Quindi una prima caratteristica del pensiero di K. è cercare di ricondurre la comprensione dell’ intera esistenza dell’uomo alla categoria della possibilità mettendo in luce l’aspetto negativo e paralizzante della possibilità come tale.
L’esistenza umana si configura come un insieme di possibilità che pongono l’uomo, ogni singolo uomo, di fronte a una scelta. Tutta l’esistenza umana si risolve nello
scegliere fra diverse possibilità, che rappresentano le varie alternative verso cui l’uomo può dirigere la propria vita. Secondo Kierkegaard, il configurarsi della vita come una serie di possibilità non costituisce però una ricchezza dell’esperienza umana ma, al contrario, un’ evidente manifestazione della limitatezza del suo essere. L’uomo infatti, di fronte alla scelta, prova un senso di angoscia in quanto non può sapere come le cose sarebbero andate se avesse scelto la possibilità che egli ha escluso. Egli sa che la possibilità da lui scelta può avere un esito positivo, ma anche un carattere decisamente negativo; può, in altre parole, condurre alla realizzazione di sé ma anche al proprio annientamento. D’altra parte, il risolvere positivamente una scelta non implica la salvezza poiché, immediatamente dopo, l’uomo dovrà affrontarne un’altra.

martedì 4 dicembre 2012

IL VELO DI MAYA


TRA REALTA' E ILLUSIONE
Schopenhauer riprende da Kant i concetti di fenomeno e noumeno. Il fenomeno è il prodotto della nostra coscienza, esso è il mondo come ci appare, mentre il noumeno è la cosa in sé, fondamento ed essenza vera del mondo. Il fenomeno materiale è dunque per Schopenhauer solo parvenza, illusione, sogno: tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il velo di Maya di cui parla la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà.
Il mondo dunque è una propria rappresentazione, una propria illusione ottica. Schopenhauer ritiene che la rappresentazione, cioè la realtà che ci si para davanti, sia nient'altro che una fotocopia mal inchiostrata, celante la vera realtà delle cose (da questa asserzione traspare l'influenza dello studio di Platone).
Per poter giungere alla realtà noumenica, quella vera, non si può quindi percorrere la strada della conoscenza razionale, visto che è relegata alla sfera della rappresentazione che in base al quadruplice principio di ragion sufficiente ci mostrerà sempre un mondo totalmente determinato.